Di chi mi faccio il più vicino?
14 luglio 2013
XV domenica del TO – C
Dt 30,10-14 ; Sal 18(19) ;
Col 1,15-20 ; Lc 10,25-37
In
questa 15^ domenica del tempo ordinario, pasqua della settimana, la Parola di
Dio ci mette difronte una questione molto attuale: il prossimo.
“Chi è il mio prossimo” chiede il dottore
della legge a Gesù. Oggi dobbiamo chiedercelo anche noi.
Penso
però sia importante fare un passo indietro e vedere come mai quest’uomo è
arrivato a porsi questa domanda.
Questo
dottore è uno che di questioni teologiche ne sa parecchio, vive studiando la
Parola di Dio e vuole mettere alla prova Gesù. Ecco allora che gli pone quella
bella domanda: “Che cosa devo fare per
ereditare la vita eterna?”. È interessante quel verbo che usa: “fare”. Lui sa tante cose ma sa anche
non basta conoscere, è necessario fare qualcosa! Nasce allora quel bel dialogo
con Gesù. Da un lato Gesù lo stimola a esprimere le sue conoscenze, dall’altro
il dottore della legge non sbaglia nulla a riguardo delle prescrizioni.
Pensate
a quanto quest’uomo ha la risposta vicino a se, anzi, come dice il Deuteronomio
“molto vicina a te, è nella tua bocca e
nel tuo cuore …”. Lui sa che è necessario amare Dio con tutto se stessi ed
il prossimo come se stesso. Il problema è nel mettere in pratica tutto ciò,
mancano le basi per farlo, manca il soggetto destinatario dell’azione: “chi è il mio prossimo?”.
In
teoria ci siamo, noi conosciamo tutti il catechismo, ci hanno insegnato sin da
piccoli a fare le opere di carità, a pensare ai bambini che muoiono di fame in
Africa ecc. Ma come posso fare a mettere in pratica tutto ciò?
E
Gesù racconta quella bellissima parabola che mette i brividi ogni volta che la
ascoltiamo. Ciò che lascia stupiti è la domanda finale: “chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto
nelle mani dei briganti?” La questione quindi non è “chi è il mio prossimo?” ma “di
chi mi faccio prossimo?”. Sappiamo che la parola “prossimo” è il
superlativo assoluto di “vicino” è “il più vicino”. Allora la questione diviene:
“a chi mi faccio il più vicino?”
Io penso
che sia abbastanza semplice fare una raccolta di fondi per spedirli ad un
missionario che lavora in Africa o in America latina, ma mi sono fatto prossimo
di queste persone?
Diviene
invece più difficile accogliere sulla propria terra un barcone di disperati che
rischia di morire annegato nel mare.
Essere
prossimi, significa avere il coraggio di sentire l’odore dell’altro, di
guardare gli occhi dell’altro, di condividere il proprio pane con l’altro, di
condividere il proprio spazio con l’altro.
In
questo momento non posso che pensare alla generosità dei lampedusani. Sono
stati e sono tutt’ora esempio di prossimità per i fratelli che approdano sulle
loro coste.
Farsi
prossimi, significa anche rischiare, non ci si può avvicinare all’altro
restando rinchiusi in una tuta da astronauti, per non sentirne l’odore, per non
toccarne la pelle, per vedere poco chiari i suoi occhi! Quel samaritano del
Vangelo ha avuto il coraggio di investire il suo denaro e la sua parola (“il giorno seguente tirò fuori due denari e
li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi
cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno»”); l’albergatore si prende cura dei
quel tale e si fida del samaritano.
Signore
Gesù, fare la Carità, Amare, significa farsi prossimi a chi è nel bisogno, sia
esso un rifugiato politico o un bambino senza genitori, sia esso un maltrattato
o un affamato, sia esso bianco o nero. Non sempre è facile sporcarsi le mani,
anzi spesso è più conveniente delegare chi è più bravo. Eppure tu chiedi a
tutti noi di avere uno sguardo diverso su chi è nel bisogno. Noi ogni giorno
incrociamo il tuo sguardo di compassione, sguardo che mi ama per ciò che sono,
sguardo che guarisce le mie ferite, sguardo che mi solleva dalla polvere.
Aiutami a vivere di compassione, incrociando lo sguardo di chi invoca aiuto,
condividendo ciò che sono e ciò che ho per il bene dell’altro e non per la
bella figura che posso fare agli occhi degli uomini.
Amen
Commenti
Posta un commento