Affamati di Dio senza saperlo


29 luglio 2018
XVII domenica TO – B
2Re 4,42-44 ; Sal 144(145) ; Ef 4,1-6 ; Gv 6,1-15
In questa 17 domenica del Tempo ordinario, Pasqua della settimana, le letture pare che ci facciano riflettere sulla fame dell’uomo. Sia nella prima lettura che nel Vangelo di parla di uomini affamati: da una parte a causa di una carestia dall’altra a causa del lungo tempo passato a seguire Gesù. In entrambi i casi Dio interviene per sfamare la sua gente.
Anche oggi l’uomo ha fame? E se ha fame di cosa ha fame?
Di denaro? Potere? Celebrità? Salute? Eternità? Verità? Pane?
Ogni volta che mi accosto al mondo dei giovani e mi dispongo ad ascoltarli in un modo o nell’altro esce un bisogno nascosto, quasi inconscio ma vitale: il bisogno di Dio, la fame di Dio!
Oggi l’uomo, anche noi, ci nascondiamo dietro ai tanti bisogni della carne ma nel profondo, nonostante magari ci dichiariamo atei o non credenti, abbiamo tutti bisogno di Dio. Tutti infatti cerchiamo l’Amore, tutti desideriamo l’Eternità, tutti desideriamo la pace interiore. Il problema è che cerchiamo le risposte a tutto questo nei posti sbagliati: confondiamo l’Amore con il sesso; confondiamo l’Eternità con l’assenza della morte e quindi di tutti i segni della vecchiaia (pensiamo ai lifting, alle mode, alla crioconservazione …); confondiamo la pace interiore con l’isolamento dal mondo.
Nel Vangelo che oggi la liturgia ci presenta ma anche ella prima lettura, Gesù ci presenta la soluzione al problema della fame in maniera inaspettata. Cinque pani d’orzo e due pesci secchi diventano, grazie alla generosità del giovane proprietario, la materia prima per sfamare cinquemila uomini.
I pani d’orzo e i pesci secchi erano il cibo dei poveri. Gesù ci invita a guardare ai più povere per imparare a vivere. Anche oggi l’esempio dei più poveri deve scuotere le nostre sensibilità, noi che ci lamentiamo degli stipendi troppo bassi, che ci lamentiamo di una salute cagionevole, che ci lamentiamo che il cibo in tavola non basta mai o che non è di nostro gradimento (anche se la parola orrenda usata spesso è “mi fa schifo”) … dovremmo davvero guardare i più poveri, coloro che con quei pochi spiccioli hanno sempre il sorriso sul volto e la porta aperta per ospitare, coloro che, nonostante rilegati in un letto d’ospedale, hanno sempre il sorriso sul volto e gli occhi che trasmettono speranza, coloro che si accontentano di quello “che passa il convento” e non si lamentano se qualche pasto sono obbligati a scavalcarlo. Tutti questi poveri hanno sempre il sorriso sul volto, al contrario di noi che spesso e volentieri ci guardiamo in cagnesco e pensiamo male dell’altro invidiando ciò che apparentemente a noi manca.
Il Signore possa davvero aiutarci a sanare la nostra fame di Dio mantenendo lo sguardo fisso sulla pace interiore che i poveri hanno dentro di loro. Possa ognuno di noi fare l’esperienza di essere recuperato sempre da Dio, perché anche l’avanzo di quei pani non può venire sprecato è prezioso tanto quanto il pane intero. Ognuno di noi è una parte preziosa di quell’unico pane che è Cristo che ogni giorno si spezza nella Chiesa per donarsi ad ogni uomo che ha fame e sete di Amore, di Verità, di Eternità. Solo con questi sentimenti nel cuore possiamo davvero trovare ristoro per noi stessi e per coloro che camminano un tratto di strada insieme a noi.
Amen

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