Guarda il cielo e conta le stelle ... se riesci!
24 febbraio 2013
II Domenica di
Quaresima – C
1Gen 15,5-12.17-18 ; Sal 26(27) ; Fil 3,17-4,1 ; Lc 9,28b-36
In questa seconda domenica di Quaresima, Pasqua della settimana, le
letture ci portano a stupirci di come quella parola scritta migliaia di anni
fa, sia così attuale e parli proprio di me, di ognuno di noi.
Quando ho letto il vangelo appena proclamato, la mia attenzione si è
fissata sul sonno dei tre prescelti, e subito mi è venuto in mente che questi
stessi si addormentano anche nell’orto degli ulivi. Insomma o soffrivano della
malattia del sonno o … l’evangelista voleva dirci altro.
Il sonno, il torpore, come quello narrato nel racconto mitologico di
Adamo, di fronte all’azione di Dio, è il sintomo chiaro che l’uomo non ha le
forze per reggersi in piedi!
L’azione di Dio va ben oltre il nostro immaginario, ed allora come
riuscire a comprenderla chiaramente? È il sonno nel quale preferiamo
sopravvivere anche noi di fronte alle grandi promesse che Dio stesso ci fa ogni
giorno. Lui promette, lui sigilla la promessa: passando tra i cadaveri degli
animali, chi stringeva un patto, imprecava la stessa sorte delle bestie se non
avesse mantenuto la parola data; è indicativo che solo Dio compie questo gesto,
Lui sa già che l’uomo è debole e non lo vuole appesantire di un carico troppo
oppressivo.
Ma qual è la promessa che ci sta facendo? Quella di trasfigurare il
nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso!
Ed a questo punto qualcuno si sta già perdendo: è il sonno di cui si
diceva prima. Quando le promesse sono troppo grandi rispetto a ciò che possiamo
immaginare, quando le promesse sembrano impossibili, quando le promesse
sembrano un bel romanzo … beh il nostro cuore preferisce voltarsi dall’altra
parte. Ed ecco allora la figuraccia di Pietro: “è bello per noi essere qui.
Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Povero Pietro,
non aveva ancora capito che non era quello il momento! Non aveva ancora capito
che ciò che stava guardando era una promessa per il futuro, proprio come quel
cielo stellato che Abramo è stato invitato a guardare!
Anche noi come Pietro rischiamo di vivere nell’illusione di essere già
nel vivo della promessa. Ma la strada è ancora lunga. Dobbiamo riprendere quel
cammino che inizia a salire per Gerusalemme, un cammino faticoso e pieno di
incomprensioni. Del resto come quello stesso cammino che Abram inizia guardando
quel cielo stellato e sognando la sua discendenza, ma con una fede ceca in quel
Signore disposto a donare la vita per lui. Siamo proprio nella stessa
situazione: da un lato Abram e Dio disposto a morire; dall’altro Pietro,
Giacomo e Giovanni accompagnati da Gesù sulla strada della croce.
Ma c’è una terza coppia di viaggiatori da considerare: Io con chi sto
viaggiando? Con quale meta?
Signore Gesù, questo viaggio, la mia vita, non sempre è ricca di gioie
così come ogni tanto mi piace sognare. È sempre più simile alla stretta via che
porta al Calvario. Ed io mi dimentico sempre che l’altra faccia del Calvario è
il Tabor. Ed allora il cammino si fa difficile, spesso quasi impossibile.
Fortunatamente ti scorgo, accanto a me, che, non solo cerchi di consigliarmi i
passi meno pericolosi, ma addirittura mi porti sulle spalle quando proprio le
forze non mi sorreggono più.
Signore Gesù, vedo il grande rischio di nascondermi dietro la
difficoltà del cammino. Il rischio di sedermi per strada di di convincermi che
alla fine sono stato proprio bravo ad arrivare fin lì. Aiutami a tenere alto lo
sguardo, a guardare le stelle e a scoprire di non poterle neppure contare
tutte. Come quelle stelle infinite e fuori dalla mia portata è la tua promessa
nel miei confronti.
Il tuo Spirito mi dia la forza di reagire, di non mollare mai e di
gioire nell’accorgermi di quanto amore sta versando per me.
Amen.
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