L'invidia che ci incatena nei piccoli orti di casa!

24 settembre 2017
XXV domenica del TO – A
Is 55,6-9 ; Sal 144(145) ; Fil 1,20c-24.27a
Nelle scorse settimane la Parola di Dio ci ha mostrato come dovrebbe essere la comunità; in questa 25^ domenica del tempo ordinario, pasqua della settimana, il discorso prosegue mostrandoci la difficoltà della comunità di seguaci di Gesù ad essere simile al modello appena presentato.
Già dalla meravigliosa prima lettura il profeta Isaia mette subito in luce quanto dista il pensiero dell’uomo dal pensiero di Dio: “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”. Il profeta che parla a nome di Dio non lascia dubbi. Potremmo chiederci allora cosa siamo qui a fare? Come mai stiamo a riflettere su un modello ideale di Chiesa quando sappiamo che, per la natura dell’uomo, la Chiesa che possiamo formare sulla terra non sarà mai lontanamente uguale a quella che Gesù ci ha indicato.
Diamo uno sguardo al Vangelo. Lo conosciamo bene, ed anche a noi nasce spontaneo dire assieme agli operai della prima ora: “È ingiusto quello che fai; noi abbiamo diritto alla paga di una giornata, questi che non hanno faticato sotto il sole come noi non si sono guadagnati nulla!”. Facciamo attenzione perché queste parole le diciamo ogni volta che giudichiamo la bontà o meno di un fratello, ogni volta che togliamo la parola a qualcuno, ogni volta che non perdoniamo le offese ricevute, ogni volta che rifiutiamo l’aiuto di chi vuole unirsi al nostro lavoro anche se ormai siamo al temine della giornata.
La parabola è molto fine nella sua costruzione. Dalle parole di Gesù traspare benissimo che quegli operai, soprattutto quelli dell’ultima ora, sono senza lavoro perché nessuno li ha presi, non perché non vogliono lavorare, non perché sono lazzaroni. Anche a loro deve essere data la possibilità di guadagnarsi il pane quotidiano. Ma allo stesso modo è chiara quando mette in evidenza che quel padrone stipula un contratto solo con i primi operai che chiama, gli altri li manda semplicemente a lavorare nei suoi campi, non promette nulla eppure loro ci vanno ugualmente, sembrano dire: piuttosto che stare a far nulla vado a lavorare anche senza contratto con il rischio di non portarmi a casa nulla.
Questi lavoratori scartati da tutti sono coloro che il padrone vuole vicino a sé, sono Giuda, sono la Maddalena, sono la vedova nel tempio, sono le prostitute, sono i pubblicani, sono tutti coloro che danno scandalo nella Chiesa, sono il ladrone sulla croce, certamente sono anche io e, magari, siete anche voi. Quello che ci da fastidio, quello che ci fa invidia in questo racconto non è che questi ultimi, che hanno lavorato un’ora soltanto – non dimentichiamocelo -, prendono la stessa paga di chi ha lavorato tutto il giorno, dall’alba al tramonto (lo dice chiaramente il testo) ma che noi non siamo in grado di usare quella stessa misericordia che il padrone di quel campo riesce ad usare. Io, noi non riusciamo a vedere i bisogni dell’altro, non riusciamo a vedere che l’altro, chiunque altro, ha bisogno anche di qualcosa che io posso dargli, guardiamo al nostro piccolo orto e ci lamentiamo che le patate sono piccole, che l’insalata cresce a fatica, che i pomodori non maturano come si deve … e non vediamo che nell’orto del fratello che abita accanto a noi, nonostante le tante fatiche fatte a vangare e preparare il terreno, non cresce nulla a causa di un verme che mangia ogni seme messo nel terreno.
Chiediamo al Signore di allargare un po’ di più i nostri orizzonti, chiediamogli di poter vedere anche solo da lontano la povertà e le esigenze nascoste nel cuore di tanti fratelli che ci vivono accanto. Solo allora riusciremo ad allontanarci dall’egoismo che ci incatena ai nostri orti, solo allora potremo scoprire che il mondo è ben più grande del piccolo recinto in cui abito ormai da troppi anni, solo allora potrò arricchire le mie conoscenze con tutto ciò che altri fratelli, fuori dalle mie quattro mura, potranno insegnarmi.

Amen.

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