Un abbraccio grande come il mondo

20 agosto 2017
XX domenica del tempo ordinario
In questa XX domenica del tempo ordinario, Pasqua della settimana, la Parola ci invita ad aprire i nostri orizzonti.
La profezia di Isaia secondo la quale la casa di Dio diventa casa per tutti i popoli e i sacrifici degli stranieri, diremmo noi oggi, le preghiere dei non cristiani o dei non credenti, saranno graditi da Dio, è una profezia che ci da parecchio fastidio. Noi, come il popolo di Israele, siamo convinti di essere il popolo prescelto, eppure proprio noi facciamo fatica a lasciarci condurre da Dio. Facciamo fatica a porre nelle sue mani la nostra vita. Facciamo fatica a riconoscere la sua presenza nel nostro quotidiano, ci chiediamo senza paura cosa c'entra Dio in ciò che sto facendo? Cosa c'entra Dio nelle scelte che prendo sul lavoro o nella vita privata o nelle scelte morali? Dio sta bene rinchiuso nelle quattro mura della chiesa. Poi vediamo che qualche straniero invece fa qualcosa che noi non faremmo mai come utilizzare la sacra scrittura per giudicare gli eventi o appoggiarsi sulla tradizione religiosa per prendere decisioni sul suo avvenire. E queste cose ci interrogano. Le parole dure che Gesù usa rispondendo alla straniera che chiede la guarigione della figlia malata, sembrano le nostre nei confronti degli stranieri. Perché Gesù usa un linguaggio così duro? Per verificare la fede di quella donna, non certo per il motivo che muoverebbe le nostre parole. Gesù verifica che questa donna è vera in ciò che sta dicendo, questa donna ha la certezza che Gesù la può salvare. È a questo punto che avviene la prima grande apertura religiosa della storia, ed avviene mediante una donna. Così come il grande annuncio della salvezza che ha rovesciato le sorti dell'umanità, l'annuncio della risurrezione, arriva dalle donne che vanno per prime al sepolcro. Alla faccia di chi dice che il cristianesimo è chiuso alle donne.
Il Messia era atteso per la salvezza del popolo di Israele, con questo evento Gesù spalanca le porte della misericordia a tutti gli uomini che desiderano entrarvi. Allora proviamo a chiederci se nella nostra vita siamo più nella situazione della donna straniera che, pur non facendo parte del popolo prescelto, riconosce in Gesù il suo salvatore, oppure se ci riconosciamo  nei  discepoli di Gesù che, avendo la certezza di essere già salvati, non riescono a vedere in Gesù il salvatore e, pur vivendoci insieme, fanno fatica ad appoggiare la loro esistenza nel loro le sue mani.
Il desiderio di Dio è quello di vederci tutti riuniti sotto lo stesso segno di misericordia che è la sua croce, l'abbraccio più grande che l'umanità poteva immaginare.
Ma se non riusciamo neppure a incrociare lo sguardo con i nostri compaesani, come potremmo pensare di riconoscerci fratelli di chi ha tradizioni diverse dalle nostre?
Dobbiamo anzitutto rompere le barriere dell'invidia e dell'egoismo per poter vivere fraternamente con tutti. Questa casa di preghiera nella quale ci troviamo tutte le domeniche è nostra madre e noi siamo cresciuti allattandoci al suo seno. Ora siamo nella condizione di Caino e Abele. Fino a che punto vogliamo arrivare? Riconosciamo che Cristo ci ha redenti con la sua croce o siamo ancora agli inizi della storia della salvezza quando per la durezza del cuore degli uomini l'unica legge possibile era la legge del taglione? Occhio per occhio e dente per dente!
Aiutaci Signore a entrare in questa casa che è la chiesa è a sentirci a casa nostra. Fa che questa casa sia il luogo della riconciliazione affinché possiamo davvero riconoscerci per ciò che siamo: tuoi figli e quindi nei fratelli fra di noi.
Un grande uomo protestante un giorno durante la guerra si chiese come mai coloro che pregano lo stesso Dio si sparano tra di loro. Me lo chiedo anche io: perché coloro che pregano lo stesso Dio devono continuare a non salutarsi quando si incontrano per strada o debbano farsi in continuazione delle cattiverie che si tramandano di padre in figlio senza neppure ricordarsi cosa successe all'origine. Tutto il mondo è paese, queste cose capitano purtroppo nelle nostre piccole comunità così come nei grandi paesi. Capitano purtroppo anche all'interno della stessa chiesa. Questo però non può essere una scusa per continuare a vivere in questo modo.
La mia preghiera questa settimana diviene pertanto un appello perché questa casa, che è la chiesa, possa davvero chiamarsi casa di preghiera per tutti i popoli e tutti coloro che la frequentano possano riconoscersi fratelli dell'unico creatore.
Amen

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