Non è costui il figlio di Giuseppe?

31 gennaio 2016
IV domenica TO – C
Ger 1,4-5.17-19 ; Sal 70(71) ; 1Cor 12,31-13,13 ; Lc 4,21-30
In questa 4^ domenica del tempo ordinario, Pasqua della settimana, la Parola ci offre una riflessione preziosissima su un tema così grande che oggi non riusciremo neppure ad iniziare a balbettarne qualcosa: è il tema dell’amore.
Non è costui il figlio di Giuseppe?” sono le parole che si dicono i compaesani di Gesù, coloro che avendolo visto crescere, coloro che è possibile ne abbiano visto i primi passi e sentito le prime parole, sono convinti di due cose: la prima è di conoscerlo e la seconda di possederlo.
È la nostra stessa convinzione; noi Gesù lo conosciamo sin dalla nostra infanzia, e per questo non siamo incuriositi da lui. Sin da quando eravamo in prima elementare ci hanno insegnato qualcosa su di lui, addirittura i nostri nonni e i nostri genitori ci hanno parlato di Gesù mentre ci insegnavano a parlare. Lo conosciamo così bene che … quando viene un testimone di Geova lo cacciamo perché non sappiamo come rispondergli; lo conosciamo così bene che … gli facciamo dire anche ciò che lui non ha mai detto; lo conosciamo così bene che … difronte ai dubbi di fede dei nostri figli non sappiamo cosa rispondere.
Ma lo conosciamo così bene che è nostro non degli altri, addirittura ci chiediamo come mai non interviene quando abbiamo bisogno di lui, ci chiediamo perché non fa sentire la sua voce così da farci comprendere bene cosa dovremmo fare, ci chiediamo perché non compia dei miracoli anche in casa nostra o per le vie del nostro paese.
Come potete vedere siamo nella stessa situazione dei nazaretani.
È proprio per queste convinzioni che lui non può agire. L’evangelista Marco, raccontando questo stesso aneddoto della vita di Gesù, conclude dicendo: “E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.” (Mc 6,5-6)
L’amore possessivo, come quello dei compaesani di Gesù, non porta nessun frutto e non è neppure amore. Amare l’altro significa invece porre attenzione ai suoi bisogni, sopportare le sue debolezze, supportare le sue fatiche. Gli abitanti di Nazareth erano invidiosi di coloro che venivano guariti da Gesù, erano invidiosi di coloro che avevano potuto vedere prodigi inspiegabili e non si rendevano conto che il prodigio più grande di tutti l’avevano proprio sotto gli occhi. Quell’uomo che loro pensavano di conoscere, in realtà era Figlio di Dio, Dio lui stesso ma … con la loro cecità ci mostrano il dramma dell’umanità intera: l’incapacità di riconoscere il senso profondo di una vita umana. Siamo bravissimi a studiare le biografie: gli uffici statali e dei posti di lavoro sono pieni di fascicoli che parlano di persone, ma quei fascicoli non sono le persone di cui parlano. È nel mistero di Dio che affondano le radici di ogni esistenza, quella di Gesù come quella di ognuno di noi. È solo in Dio che possiamo scoprire la grandezza e la preziosità della nostra vita. Accogliere l’altro, amarlo, significa quindi riconoscere questa preziosità e desiderare vederla al di là di tutto quello che i nostri occhi sono in grado di vedere.
Signore Gesù la tua storia fa parte della nostra storia, le tue parole sono parte del nostro linguaggio, il tuo volto è compagno di viaggio per ognuno di noi eppure non ti conosciamo.
Sei nostro ma noi facciamo fatica ad essere tuoi.
Ci chiamano con il tuo nome, Cristiani, eppure oggi sentiamo la necessità di chiederti: Gesù aiutaci a conoscerti un po’ meglio; aiutaci a far scendere le tue parole nel nostro cuore; fa che il nostro volto sia simile al tuo.
Chi non ti conosce Signore Gesù resta a bocca aperta quando viene a conoscere le tue opere e a sentire le parole, aiuta anche noi a meravigliarci ogni volta che ti incontriamo e ogni volta che ti sentiamo.
Amen


Commenti

Post popolari in questo blog

Un CUORE che arde d'Amore!

Tu vali molto di più!

Un patto di sangue con l'Amore